Tra accise e Iva, un automobilista italiano paga all’erario un conto di 656 euro l’anno: un importo superiore al canone medio di affitto mensile di una casa. Lo afferma Faib Confesercenti, sottolineando che si tratta di un dato in decisa crescita rispetto al 2011 (quando il fisco chiedeva 547 euro) e che potrebbe lievitare ancora. Secondo i gestori se il progetto di abolire il bollo auto istituendo al suo posto una nuova maxi-accisa dovesse passare, l’esborso salirebbe a circa 785 euro. Un aumento di 129 euro rispetto ad oggi.
In Italia la componente fiscale sul prezzo finale dei carburanti incide ormai per il 69,8% sulla benzina – terzo posto nella Ue dopo Paesi Bassi e Regno Unito – e per il 67,7% sul diesel, in seconda posizione dopo gli Uk. A fare i calcoli del conto pagato dagli italiani è l’ufficio economico di Faib Confesercenti, la più grande associazione italiana di gestori della distribuzione carburanti, prendendo in considerazione un automobilista medio, che percorre 11.500 km all’anno e consuma poco meno di 720 litri di benzina.
“Lo scambio bollo-accisa non converrebbe a tutti i consumatori, ma solo a quelli che non percorrono molti chilometri. E aggraverebbe un quadro che vede già un prelievo eccessivo sui carburanti”, spiega Martino Landi, Presidente di Faib Confesercenti, secondo il quale “un nuovo aumento delle accise non farebbe che depotenziare gli effetti positivi del mini-barile sulla ripartenza dei consumi, ancora sotto ai livelli del 2011 di quasi tre miliardi di litri”.
“Su benzina e gasolio – afferma Landi – pesano ormai 17 diverse accise: è evidente che ci sia bisogno di rivedere il sistema e di ridisegnare la politica fiscale sui carburanti. L’eccesso di prelievo danneggia i consumatori, soprattutto coloro che lavorano con l’automobile, e ha un effetto negativo anche sui gestori. Che si sono trasformati, di fatto, in esattori: nel 2015, in media, ogni stazione di rifornimento ha riscosso oltre 785mila euro di imposte per conto dello Stato. Una cifra assurda, che non fa altro che aumentare i rischi a cui sono esposti i gestori, fin troppo spesso vittime di furti e rapine”. “Si proceda almeno alla cancellazione del costo delle commissioni pagate dai gestori per accettare la moneta elettronica, che attualmente assorbono buona parte del margine degli operatori, nonostante gran parte del loro incasso venga di fatto ‘girata’ allo Stato”, conclude Landi.